di Martina Meret 3^D
del Primo Liceo Artistico Statale di Torino
Una domenica di Febbraio mi sono recata al Museo Diffuso della Resistenza in C.so Valdocco 4/a
a Torino per vedere la mostra “Qui non ci sono bambini, un’infanzia ad Aushwitz” disegni di Thomas Gave, aperta
dal 27 Gennaio al 13 Maggio 2012.
Questi disegni sono stati realizzati da Thomas Gave dopo la sua liberazione dagli aguzzini nazisti; l’autore ha deciso di disegnare tutto quello che aveva vissuto per non dimenticare e per lasciare testimonianza della sua esperienza. L’esposizione è divisa in due parti: alla destra, appena entrati, ad altezza dello sguardo, c’è una linea del tempo con sopra i 79 disegni Thomas Gave in modo da dare loro un ordine cronologico e, vicino ai disegni, è collocata la spiegazione, dato che la lingua usata dall’autore per spiegarli è il tedesco.
A sinistra, invece, troviamo la spiegazione dell’Olocausto e della vita degli internati nei lager.
Ogni cartellone si presenta con una gigantografia di un disegno di Thomas e, a lato, la spiegazione del singolo momento rappresentato della vita dei prigionieri.
Ho scoperto della mostra in modo del tutto casuale, notando i volantini una mattina mentre andavo a scuola. Arrivata al Museo Diffuso della Resistenza ho potuto constatare che questa mostra ha riscosso parecchio successo, soprattutto tra i giovani. Acquistato il biglietto e salite le rampe di scale, mi sono ritrovata nella sala dove è collocata la mostra e alcune caratteristiche dell’allestimento mi hanno impressionato immediatamente: muri bianchi e una luce intensa, come se tutta questa luminosità potesse rischiarare l’oscurità delle immagini di Thomas Gave. Di questo diario per figure mi ha colpito particolarmente la prospettiva usata per rappresentare l’entrata del campo, come se l’autore stesso fosse sui binari del treno e disegnasse l’entrata frontalmente.
Queste opere sono i ricordi d Thomas poco più che bambino ma, sembravano appartenere alla mente di un adulto.
La mia visita alla mostra è stata compiuta avvolta da uno strano silenzio, come se tutti i visitatori pensassero inutili le parole, negli occhi delle persone ho colto la mia stessa domanda: com’era potuto accadere tutto questo e perché un ragazzino era stato così presto obbligato a crescere?