di Miriam Margaria 3^D
del Primo Liceo Artistico Statale di Torino
Nel mese di Gennaio, due miei compagni, due ragazzi di quinta ed io ci siamo riuniti con il regista e attore Marco Alotto, del laboratorio teatrale del Primo Liceo Artistico, per provare quelli che sarebbero stati gli spettacoli che avremmo tenuto durante l’esperienza del Treno della Memoria. Ero molto spaventata all’idea di dover recitare davanti a tutti quei ragazzi, anche perché sarebbe stata per me la prima volta, tuttavia sapevo in anticipo che la nostra non sarebbe stata una recita qualsiasi, ma noi saremmo stati un “mezzo” per comunicare qualcosa di molto più profondo.
Finalmente partimmo il 3 Febbraio dalla stazione di Porta Nuova di Torino insieme a più o meno 700 persone armate di borse, giubbotti caldi e tanta curiosità. Il viaggio fu molto lungo ed ogni volta che il treno si fermava salivano altri ragazzi provenienti da tutta Italia. Per fortuna, tra giochi vari, risate tra amici, canti e nuove conoscenze il viaggio é trascorso velocemente, nonostante l’arrivo ritardato a Cracovia.
Il 5 Febbraio dovevamo recitare nel campo di Auschwitz, ma siccome faceva molto freddo, recitammo nel Museo di Schindler di Cracovia. Eravamo tutti e cinque molto preoccupati per come sarebbe andata, con il panico di poter dimenticare le battute da un momento all’altro ma, facendoci coraggio a vicenda, salimmo sul palco calandoci ognuno nella sua parte. Interpretai una bambina ebrea che cercò di nascondersi con la mamma, prima di essere deportata nel campo e doversi separare da essa. Era abbastanza difficile calarsi nella figura innocente di questa bambina, ignara del proprio destino crudele al quale sarebbe andata incontro. Mi venne quasi da piangere mentre recitai; vedevo le persone che mi guardavano: alcune piangevano, altre ridevano. Dopo il primo spettacolo, ripensai di nuovo a come mi ero sentita in quel momento, a quelle persone che avevano riso e non capii per che cosa. Dopo il primo, seguirono altri 7 spettacoli, in alcuni dei quali sbagliammo diverse battute ma riuscimmo comunque a “cavarcela”. Quella sera, dopo aver finito, assistemmo a uno spettacolo tenuto da Alotto, durante il quale lesse delle parti di un processo realmente avvenuto con l’accompagnamento di un dj. Le testimonianze degli Ebrei da lui lette mi hanno lasciata sconvolta: atti atroci, inumani ed impensabili su persone innocenti, tra cui bambini! Al termine, rimasi con lo sguardo perso,vuoto. Mi girai verso la mia amica e in lei vidi il mio stesso tipo di sguardo. Non comunicammo con le parole, bensì con le lacrime che affondarono in un abbraccio.
Il giorno dopo andammo nel campo di Auschwitz per leggere dei brani di Primo Levi ai gruppi dei ragazzi. Purtroppo non riuscii a visitarlo tutto, ma quello che vidi all’interno di quella prigione mi raggelò il sangue di nuovo: le migliaia di scarpe, valigie, pettini, protesi che avevano tolto a quelle persone, i vestiti dei bambini appena nati, i loro capelli… ma questo era niente in confronto a quello di cui vennero anche privati: tolsero loro le persone care, le loro case, le loro abitudini, i loro nomi, la loro vita. Ero vestita con tanti strati di vestiti pesanti e avevo anche scaldini nelle scarpe e nei guanti, ma tremavo comunque dal freddo, tanto che feci fatica anche a leggere e, nel mentre pensavo ai loro pigiami a righe e alle loro scarpe con la suola di legno. Questo pensiero mi fece smettere di tremare e leggere più forte.
Dopo Auschwizt andammo a Birkenau, il campo di sterminio che costruirono gli Ebrei stessi. Era il triplo di Auschwizt come estensione, circondato da filo spinato. Recitammo questa volta davanti alle camere a gas, seduti sul davanzale di una finestra, pronunciando le nostre battute fissando il vuoto davanti a noi.
“Una sola cosa mi appare subito chiara, in questo posto non devo risultare ammalata. Tiro fuori le ricette per i medicinali..ecco, da questo momento non sono più ammalata..le strappo in mille pezzi e continuo a tenermi la borsa.”
“ Con una penna e dell’inchiostro mi incidono sul braccio un numero di matricola”
“Ci conducono alle docce, ci fanno mettere completamente nude, ci esaminano dalla testa ai piedi”
“Sarà questa la camera a gas? Cosa ne faranno di noi?”
Concludemmo con un canto in lingua polacca, un canto malinconico ma anche di speranza. Mentre cantavo, sentii che qualcosa si risvegliava in quel vuoto che stavo fissando, vedevo davanti a me i volti degli Ebrei deportati che avevo visto ad Auschwitz, nella stanza delle loro fotografie. Non dimenticherò mai che cosa provai in quel momento.
Il viaggio di ritorno a Torino fu molto diverso da quello dell’andata. Mi soffermavo a volte a guardare fuori dal finestrino, a vedere il paesaggio cambiare nel trascorrere del tempo. Molti paesaggi però si ripetevano. Non si possono interrompere la ripetizione di essi, ma si possono interrompere la ripetizione di atti atroci ed ingiusti che essi hanno ospitato nel passato e che tuttora ospitano nel presente.
Ringrazio l’opportunità che ho avuto nel vivere questa esperienza, che ho condiviso insieme ai miei quattro compagni di viaggio e con i quali, ancora adesso, canto la canzone che ci tenne uniti sul davanzale di quella finestra a Birkenau.