di Isabella Becchi, Torino
La condanna dello scienziato rivista a distanza di secoli e nuove scoperte
Il ‘600 fu un secolo di grandi scoperte scientifiche e di innovazioni, la più importante delle quali fu il metodo sperimentale. Inventato da Galileo Galilei, considerato il padre della scienza moderna, è il metodo utilizzato ancora oggi in ogni ricerca e si divide in quattro fasi: osservazione, ipotesi, verifica e legge. Grazie a questo metodo Galileo poté constatare la verità delle teorie copernicane e per questo fu condannato da chi non riusciva a vedere la realtà.
La condanna fu presidiata dal Santo Uffizio della Chiesa. Il malinteso tra la Curia e lo scienziato era nato più di vent’anni prima rispetto alla condanna, periodo durante il quale Galileo fu più volte avvertito di non sostenere certe tesi, ma lui non ascoltò nessuno. Lo stesso cardinale Bellarmino gli suggerì di sostenere Copernico solo in ambito matematico e non come verità assoluta, poiché la Chiesa avrebbe potuto intendere le sue idee come eretiche e così fu, anni dopo.
Il processo iniziò il 12 aprile 1633 e terminò il 22 giugno dello stesso anno, quando Galileo era ormai settantenne. In questo arco di tempo il Santo Uffizio condannò Galileo per eresia e l’Inquisizione proibì la lettura del suo trattato sulle macchie solari e il suo libro “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano”, nel quale sosteneva le teorie eliocentriche del secondo scienziato e metteva in discussione la visione aristotelica e l’interpretazione nel mondo fisico delle Sacre Scritture, almeno secondo i chierici del tempo.
La condanna per la colpa di cui si macchiò Galileo fu la morte, ma poiché egli accettò di ritrattare le sue tesi la pena si ridusse agli arresti domiciliari, nei quali era compresa la ripetizione settimanale dei sette Salmi penitenzari e la possibilità per la chiesa di poter moderare, modificare, ridurre o abolire tale condanna.
Lo scienziato fu controllato in modo che non potesse continuare con le sue ricerche, cosa del tutto inutile poiché Galileo era ormai anziano e quasi completamente cieco.
Oggi, a distanza di secoli dalla condanna, dopo innumerevoli prove della tesi di Galileo, sorge il dubbio: è vero che la Chiesa condannò Galileo Galilei per eresia, o lo fece per paura di perdere il proprio potere basato sull’ignoranza? Infatti non era passato tanto tempo dalla Riforma Protestante e la Chiesa aveva già perso molti fedeli. Inoltre nel ‘600 cominciò una laicizzazione della cultura: i credenti volevano delle prove di ciò che raccontavano i chierici e questo fenomeno era cresciuto quando fu provata la falsità del documento di Costatino, nel quale l’Imperatore si impegnava a concedere alla Chiesa il diritto di governare sui territori imperiali dell’Italia centrale.
Dopo tutto ciò è normale che il papa avesse paura di perdere altro potere e forse fu questo il vero motivo che lo spinse a condannare lo scienziato: fu condannato per eresia, ma in realtà era un credente sincero e la dimostrazione si trova in una lettera inviata da Galileo al suo discepolo, Benedetto Castelli, il 21 giugno 1633, il giorno prima della condanna. Nel testo è esplicitamente scritto il pensiero di Galileo, ovvero che non sono errate le Sacre Scritture ma potrebbero esserlo le interpretazioni date loro dalla Diocesi e sosteneva che la ricerca scientifica della verità fisica e la fede dovrebbero essere ambiti separati. Questa lettera è un documento valido che testimonia l’innocenza di Galileo Galilei.