Treno della Memoria- Febbraio 2016
Brividi, lacrime, sofferenza e voglia di distrarsi.
Non sembra vero quello che di più macabro e
spaventoso è accaduto in quei posti, che tanto
lontani ci sembrano.
Un cammino di conoscenza, un viaggio, è stato
il mio, che toglie quel velo di grigiore e che rende
più nitida la realtà. Al tempo stesso, passo dopo
passo, fa crescere la rabbia e da vera consapevolezza
di ciò di cui è veramente capace un uomo.
Un essere umano in grado di disumanizzare un suo simile,
forse meno alto, meno biondo, meno bello, meno Ariano.
Questo è stato Auschwitz: non il maggior numero di uomini
uccisi in un campo di concentramento, ma il maggior numero
di uomini disumanizzati. E’ questo il vero male , perchè di uomini,
donne e bambini uccisi ne sentiamo tantissimi, ogni giorno,
molti più di quelli di Auschwitz.
La disumanizzazione è il vero male del famigerato Lager.
Il privare ad una persona del suo essere uomo.
Un viaggio che, oltre ad aprire gli occhi sul passato, mira a
mettere in guardia soprattutto sul presente e sul futuro, tenta,
in ogni modo, di aprire la mente ed elaborare una posizione al
riguardo, ad avere un pensiero personale, smettendo così di
seguire la massa.
Passo dopo passo si inizia a scorgere quell’odore che si ha
sotto il naso quando si percorrono quei pezzi di storia, una
“puzza” di sofferenza.
E’ impressionante quel che sente il naso quando entra in
quelli che, un tempo, erano i dormitori.
I brividi che si sentono quando si passeggia in quei luoghi di
dolore.
Cerchi di immedesimarti, ci provi.
Sei li col tuo piumino caldo, la tua sciarpa, il cappello e i tuoi
indispensabili guanti.
Fai un passo indietro e pensi ad una ragazza della tua età , nel campo di concentramento,
di peso in media 35/40 Kg, con il suo pigiama strappato e i suoi zoccoli aperti.
E in quel momento che senti il vero freddo, forse prima sentivi fresco alle gambe e alle spalle,
ma, tutto sommato, sei coperta, ora no.
Ora ti senti gelare, come se fossi in una vasca piena di ghiaccio.
E’ in quell’ “immedesimarsi” per un attimo, che ti fa congelare completamente.
Ripercorrere i loro passi e fare fatica, pensare che i tuoi anfibi non bastano; poi ripensi
ai loro zoccoli, duri e sicuramente poco pratici.
Il dolore, l’angoscia e la crudeltà subita gira nell’aria.
Nell’aria, ma anche sotto i tuoi piedi, un grosso peso sulle spalle, mentre visiti quei posti.
L’immensità di Birkenau.
Quasi cento cinquanta campi da calcio.
Impressionante come vedi l’inizio di quel campo, ma non la fine.
Passi incerti in quel boschetto che ha un non so che di spirituale.
Il Boschetto delle Betulle. Un silenzio che fa venire i brividi, pietrifica.
Una pace che impressiona. Come può esserci pace in un posto del genere?
La sofferenza che permane lì è proprio quella che crea quella strana atmosfera.
Ossa di pochi deportati che non arrivano nei forni. Altri ebrei riuscirono a seppellirli lì;
e proprio lì, sotto i tuoi piedi, ci sono ancora della anime innocenti.
Corpi di donne e uomini condannati senza un vero e proprio motivo.
Quelle vetrine contenenti di tutto: scarpe validie, pigiami e capelli.
Già, proprio quei capelli con cui creavano teli.
E’ smisurata la vetrina che li contiene.
Quei capelli, quelli che hanno suscitato in me dolore, un dolore che i libri di scuola non
possono farmi neanche immaginare.
Un dolore che provi solamente entrando in quelli sala e solamente stando davanti a quell’orrore.
Il dolore che senti davanti alla statua degli ottantotto bambini di Lidice.
Quel paesino preso a caso da Hitler e fatto saltare in aria un po’ per vendetta e un po’ per paura.
Non ho intenzione di continuare a scrivere quello che ho provato, certe cose sono solo mie.
Una parte l’ho lasciata su quel pullman, un’altra me la porterò sempre dentro e vorrei lasciarla lì,
magari incuriosendo chi legge, perchè il treno della memoria mi ha insegnato a non rispondere
con l’odio all’odio ricevuto, il male come risposta al male a lungo andare, ci svuota.
Mi ha dato stimoli a fare sempre meglio e ad arricchire la mia conoscenza, l’ignoranza è
manipolabile, la cultura no.