Il film “Torneranno i prati” è un’opera di alto valore completamente ambientato in trincea, sul confine italiano con l’Austria, in montagna, d’inverno. Non c’è un vero protagonista, esso potrebbe essere la non esistenza del nemico, che non sta nel partigiano che uccide e bombarda, bensì nell’autorità stessa che manda su entrambi i fronti lo stesso tipo di truppe, frustrate e, seppur traboccanti di patriottismo, prive di rancore verso un nemico visto in tal modo solo sulle carte delle alleanze. Il protagonista potrebbe essere colui che ha vinto la guerra interiore, colui che porta il rancio e canta nella notte per entrambi i fronti, per portare la gioia in un posto che ne è privo, proprio come i prati. Gli stessi alberi dorati, i larici sotto cui passano le volpi, le stesse fantasticherie crollano e ardono sotto i bombardamenti. La trincea non trova significati di vita, lo stesso tenente lasciato al comando della postazione, per quanto giovane, si trova in crisi sul significato della sua vita e delle proprie azioni. I sensi di colpa delle autorità che prima danno ordini alla truppa e poi contano i morti, questi eventi cambiano la mentalità dell’uomo, certe situazioni sono difficili da metabolizzare e accettare.
In questo film non c’è solo la guerra, ci sono anche la mentalità del tempo, la malattia e la paura, i rumori che da fondovalle rimbombano ininterrottamente non mostrano un conflitto corpo a corpo bensì un danno psicologico, una costante consapevolezza dell’ambiente in cui si sta vivendo, della situazione in cui ci si trova. Il suicidio, il sacrificio per dieci soldi, la resa alle cure mediche, la volontà di morire, sono tutte caratteristiche che rendono ben chiaro quanto il danno mentale possa arrivare nel profondo, fino alla rinuncia del bene più grande, la vita stessa. I corpi vengono recuperati , sono degni di sepoltura, se non d’onore, al pari dei concittadini, mentre le loro lettere vengono man mano dimenticate, le mogli dimenticano il marito in guerra e adottano un nuovo stile di vita.
Il dietro le quinte del backstage riesce a far vivere l’impegno e la passione che il regista e direttore delle scene Ermanno Olmi ha dedicato all’opera, in ogni suo più piccolo aspetto. Le sue espressioni durante l’ascolto delle riprese, commosse e al contempo teatrali, il suo impegno al particolare e alla resa emotiva degli ambienti e delle luci, la distinzione tra la drammaticità dall’aspetto ingenuo e infantile del partigiano sono caratteristiche che mettono in risalto la sua personalità forte e volenterosa nel realizzare un gran progetto, un’opera memorabile. Il regista vuole portare al presente il senso psicologico della prima guerra mondiale, non vuole documentare i combattimenti o le dichiarazioni di guerra bensì il lato quotidiano/umano della situazione, ovviamente, in un mondo isolato e non nelle città. L’angoscia è accentuata dalla situazione dell’Italia, che sta vivendo il periodo precedente alla battaglia di Caporetto. Gli sforzi contro il freddo e l’impegno scenografico hanno reso il film realistico e ricco di morale, fatto che dovrebbe far ragionare coloro che vivono un illusorio significato della sofferenza, improntato sulla perdita dei valori, poiché si basa sulle crisi d’amore e sui dissidi familiari.
Niccolò Prinotti, 4H