A cura di Enea Barberis Jalla
Durante il viaggio di ritorno, forse un po’ stanca e provata dall’umidità milanese, la scolaresca ripensa alla giornata trascorsa.
Due mostre in un giorno possono essere impegnative ma in questo caso danno l’opportunità di confrontare a mente fresca l’operato di artisti dagli stili differenti ma tra loro contemporanei.
La prima mostra, riguardante gli Irascibili e la scuola di New York, presenta diversi spunti di riflessione.
Il poco lusinghiero nome venne dato a questo gruppo in seguito ad una lettera da loro scritta all’allora direttore del Metropolitan Museum of Arts, nella quale espressero il loro disappunto per essere stati esclusi da un’importante mostra d’arte che questi aveva organizzato.
Tra le caratteristiche fondamentali del loro stile, lo spostamento della posizione della tela da verticale sul cavalletto ad orizzontale a terra, l’abitudine di intervenire sul supporto da tutti i lati e la quasi totale assenza, nella maggior parte dei casi, di una forma definita del soggetto.
Prendendo ad esempio i due quadri di Pollock, preambolo dell’esposizione, si intuisce un profondo senso di conflitto, chiaramente originario della mente dell’autore, che lo stesso trasferisce sulla tela come una sorta di cura tesa all’eliminazione di un male radicato nella psiche.
Partendo dal presupposto per cui l’opera non è solamente il prodotto finale ma anche il processo intrapreso dall’artista per portarla a termine, possiamo presupporre che l’operato di Pollock e dei suoi colleghi sia stato anche una forma di esplorazione di loro stessi e di ricerca della propria natura recondita.
Pensando alla crisi che colpì gli artisti del secondo dopoguerra, causata dall’apparente mancanza di prospettive seguita alla consapevolezza della vastità delle possibilità esplorate dalle Avanguardie loro precedenti, appare comprensibile come l’espressione artistica degli Irascibili sia stata così atipica ed effettivamente astratta.
Pur non essendo certo degli esempi di rettitudine, visto il consumo da parte di molti di loro di alcool e stupefacenti in quantità notevoli, sono comunque considerati una fase fondamentale dell’arte del XX secolo.
La mostra su Andy Warhol risulta più nutrita della precedente. Si presuppone questo dipenda da una maggiore facilità nel reperire opere di questo autore, piuttosto che di altri.
Obiettivo di Warhol, che iniziò la sua carriera come grafico pubblicitario per la rivista Glamour, era un’arte basata su soggetti facilmente riconoscibili dalle masse.
Da qui deriva l’impiego delle foto di star, delle banconote da un dollaro e delle scatolette della Zuppa Campbell.
Da notare il fatto che la scelta di questi ultimi soggetti derivò anche dal suo desiderio di mettere qualcosa di assolutamente personale nelle sue opere.
Essendo in dubbio su come muoversi, gli venne consigliato di usare qualcosa da lui molto amato. Per questo motivo elesse la Zuppa Campbell (si dice ne mangiasse tre confezioni al giorno) e naturalmente anche i dollari, altra sua irrefrenabile passione.
Vastissimo risulta l’impiego della serigrafia, utilizzata nella rielaborazione di fotografie di personaggi famosi (Elvis Presley, Mao Tze Tong, Marilyn Monroe…) e nella loro riproduzione in serie.
Tra le opere, è stata anche inserita un’esposizione di polaroid da lui scattate a varie star oltre che a sé stesso, anche se in diverse versioni di travestito.
Colpisce il racconto dell’episodio riguardante alcuni dei famosi quadri di Marilyn Monroe, secondo cui un giorno alla Factory di Warhol, una donna iniziò a sparare alla testa dell’attrice, riprodotta in diverse versioni. Sfuggono le ragioni che spinsero la signora ad un tale folle gesto.
Ad ogni modo sappiamo che diventò una tradizione, poiché qualche tempo dopo un’altra donna ebbe un’idea simile, ma scelse un altro bersaglio, Warhol stesso.
L’artista rimase gravemente ferito e si racconta che il cuore cessò di battere per qualche istante prima che i tentativi di rianimarlo avessero successo.
Si trattò sicuramente di un’esperienza tremendamente provante, tanto da spingerlo a ridurre drasticamente l’uso di sostanze stupefacenti. Si presume si sia reso conto che al mondo vi sono già abbastanza probabili cause di morte, senza andarsene a cercare altre.
Parte della critica asserisce che l’abbandono delle sostanze fu la causa di alcuni cambiamenti nella sua arte.
A concludere la sua carriera però non furono né le pallottole né gli stupefacenti, bensì un’anestesia eccessiva, da lui stesso richiesta, per un intervento chirurgico di media entità.
Uno degli artisti più noti al mondo, morì dunque sotto i ferri, a seguito di una precauzione eccessiva da lui presa, paradossalmente, proprio per sfuggire alla morte.
La maggior parte degli studenti è rimasta favorevolmente impressionata più dalla mostra su Andy Warhol che da quella sugli Irascibili.
Ciò nondimeno, non scarseggiano neppure gli apprezzamenti nei confronti del lavoro di Jackson Pollock e dei suoi colleghi.
Si prende nota della spensieratezza delle classi quinte che, evidentemente poco impressionate dalla prova che le attende a fine anno, dimostrano durante il viaggio di ritorno, discutibilissime capacità canore.
Altresì, l’alto volume dei canti da osteria, mette a repentaglio la salute mentale di chi gradirebbe passare due ore in un pullman e non in un pollaio.