dall’opera di Fernando Pessoa
Vilma Gabri, voce recitante
Paola Cannarella, voce recitante e cantata
Gerardo Bocchino, pianoforte
PROGETTO A CURA DI VILMA GABRI
Il poeta è un fingitore
finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente.
E quanti leggono ciò che scrive,
nel dolore letto sentono proprio
non i due che egli ha provato,
ma solo quello che essi non hanno.
E così sui binari in tondo
gira, illudendo la ragione,
questo trenino a molla
che si chiama cuore.
Fernando Pessoa, portoghese, è uno fra i più importanti poeti del primo Novecento e fra i meno conosciuti, nella sua sterminata produzione ma soprattutto riguardo alla sua scarna biografia. Come ebbe a dire Tabucchi, in Pessoa colpisce la totale mancanza di indizi, l’eccesso di anonimato, la sua vita esemplare di impiegato di concetto.
Accanto a questo l’esplosione, serale probabilmente, dello scrivano che inventa l’avanguardia portoghese e che per vent’anni, dal 1910 al 1930, domina la vita culturale del suo Paese con uno straordinario trasformismo di scrittura, in gran parte ritrovata in un baule ed edita postuma.
Marinetti, Orazio, Campana, Whitman, ma anche Klimt, Gaudì, Satie, Stravinskij e Freud riecheggiano nei suoi scritti, e ognuno siglato con un diverso nome: Ricardo Reis, Alvaro de Campos, Alberto Caeiro, per citare solo i più noti. S’insinua il sospetto che lo stesso inafferrabile Fernando Pessoa sia nato dalle parole e che queste gli abbiano concesso una vita ben più lunga e generosamente moltiplicata di quella decisa dal destino.
“La mia patria è la lingua portoghese” afferma. Nel recital si è evocato non il corpo, il personaggio, ma il suono, la vibrazione di quest’uomo solo e schivo, attraverso le voci, mescolate, dei suoi eteronimi. Ci si è lasciati condurre per mano dalla giostra delle immagini, visive e sonore, scaturite dal suo molteplice poetare.
Da un baule di tesori postumi un pianista, una cantante e un’attrice estraggono via via le parole di un dialogo fitto e reticente, pacato e concitato, senza tempo, da ascoltare quasi ad occhi chiusi.
Sopra, sotto, dentro e fuori, Lisbona (ma in trasparenza campeggiano Parigi e le sue avanguardie).
Lisbona da cui si parte e a cui si torna, ma non necessariamente in quest’ordine.
Perché Pessoa? L’occasione nasce dalla registrazione di un dettaglio inessenziale: le date di nascita e di morte del poeta, 1888-1935, corrispondono alla breve vita di un contadino dell’astigiano, la cui oscura biografia si è, ovviamente, perduta nel tempo, come è accaduto, meno ovviamente, a Fernando Pessoa.
Quel contadino era mio nonno, a cui dedico questo lavoro.
Lo spettacolo.
La scommessa del nuovo lavoro consiste nell’utilizzo del testo precedente, organizzato ora in una nuova partitura musicale e interpretativa, che mette in ombra gli aspetti più malinconici e solenni, per evidenziarne le note più giocose e avanguardistiche.
L’idea di mescolare voce cantata e recitata con l’accompagnamento musicale dal vivo delle note di un pianoforte è di Vilma Gabri, insegnante e attrice, che si avvale dello sguardo teatrale di Pietra Selva, direttrice artistica del Teatro Perempruner.
Il palcoscenico dello spettacolo è essenziale. Sulla sinistra un pianoforte, sulla destra un leggio, al fondo un baule “sorprendente” da cui si estraggono parole e oggetti . La messa in scena racconta un Pessoa ironico, divertente, privato, tenero, profondissimo come la luce della sua Lisbona. Nella lettura di Vilma Gabri la piccola segretaria Ophelia Queiroz, che fu la fidanzata del poeta per qualche tempo, è una importante apparizione uno specchio intimo di Fernando che ci appare nella sua più tenera fragilità e follia.
Vilma Gabri
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