di Viola Cappelli, Natalie Ronca & Giada Spanò 3^
Liceo Classico Liceo N. Rosa, Susa
Valorizzarla, cambiarle ubicazione, ridarle significato simbolico…
La “Pietà Rondanini”(1552-1553) di Michelangelo, da anni collocata al Castello Sforzesco, in attesa della sua nuova e stabile sede nella sala dell’ospedale spagnolo (uno spazio di circa 600 mq dentro alle mura del castello stesso), avrà temporaneamente una nuova casa: il carcere di S. Vittore.
La proposta della Giunta comunale milanese, promossa dall’assessore alla cultura Stefano Boeri fa discutere: i più si interrogano sull’intento pubblicitario dell’azione, ma il punto centrale su cui ci si deve concentrare è il valore simbolico di quest’opera: il capolavoro incompiuto di Michelangelo, il suo testamento artisitico e spirituale da cui traspare, attraverso la tecnica del non finito, la sofferenza e la dimensione interiore dell’artista, è posta al centro del carcere, che diventa così luogo di riflessione e riscopre la sua drammaticità attraverso un’opera che ha vissuto per molto tempo in clandestinità.
La “Pietà” in una galera scuote le coscienze proprio perché esprime un’idea di dolore e sofferenza attraverso un figlio che muore tra le braccia della madre; dolore che può essere ricollegato al dolore della redenzione di chi vive nelle nostre carceri inumane, spingendoci ad elaborare necessariamente un nuovo concetto moderno di Pietà.
L’arte assume così un valore pedagogico e sociale: le figure michelangiolesche sono imprigionate nel marmo, proprio come sono oppressi i detenuti.
L’opera, inoltre, permette di riporre l’attenzione su un argomento scomodo e trascurato: il sovraffolamento delle carceri, la loro disumanità, il rapporto impersonale che spinge molti detenuti al suicido.
Questo nuovo modo di fare cultura è sicuramente rivoluzionario e ambizioso, poiché restituisce all’opera d’arte la sua dimensione civile: far parlare oggi è tanto audace quanto necessario.
Fonte foto :
– Wikipedia
– Pensiero Libre
– Thais