“La storia che non ho vissuto”

di Luca Buscemi 5^As
Liceo Artistico – Musicale – Istituto d’Arte “Aldo Passoni” di Torino

Per capire chi siamo bisogna prima sapere da dove veniamo perché, proprio come suggerisce il titolo del programma Rai di Giovanni Minoli ” La storia siamo noi “, è importante sapere il perchè delle cose, avere delle risposte alle nostre domande, sapere in che modo siamo arrivati ad avere questa situazione politica e sociale e, forse, anche perchè la penseremo quasi sempre diversamente dai nostri genitori.
La storia che sto per raccontarvi inizia nel novembre del 1967 a Torino.
E’ qui che prima del maggio francese inizia a crescere una profonda voglia di cambiamento che darà vita ai movimenti del sessantotto.
Dopo quell’anno nulla sarà più lo stesso: ci saranno le battaglie di classe, gli studenti e gli operai saranno sempre più uniti, la rivoluzione sessuale, il diritto allo studio, il diritto all’aborto, il divorzio, verrà messa in discussione ogni cosa comprese le autorità.
Gli studenti otterranno maggiori diritti e, dopo un “autunno caldo”, anche gli operai otterranno uno statuto che li tutelerà .
La rivoluzione si farà sempre più dura e violenta, si creeranno movimenti extraparlamentari di estrema destra ed estrema sinistra che vorranno cambiare le cose usando tutte le modalità possibili portando così, nel dicembre del 1969, l’organizzazione di estrema destra “Ordine nuovo ” a far saltare in pieno centro  a Milano la banca nazionale dell’agricoltura.
Questo è l’inizio di un periodo definito in seguito ” anni di piombo “.
A raccontare questa storia sono principalmente le fotografie, i muri e i nomi piuttosto che le persone, perchè i muri conservano più a lungo cose che la memoria dell’uomo dimentica velocemente.
Come abbiamo anticipato, per capire chi siamo dobbiamo sapere da dove veniamo.
Questa storia è fatta di idee, gruppi segreti, stragi, bombe e coincidenze che legano in maniere indissolubile eventi e persone .
E’ il 9 marzo del 1979, Emanuele Iurillo, studente sedicenne dell’istituto Grassi di piazza Stampalia, sta per arrivare a casa sua in via Millio 64 , quando una pallottola gli trapassa il cranio.
L’agguato del quale è vittima, senza volerlo e senza saperlo, è la vendetta di una precedente sparatoia avvenuta al bar dell’Angelo di piazza Stampalia nove giorni prima nella quale morirono due militanti di Prima linea.
Questa coincidenza mise in crisi Torino e, a seguire, l’Italia intera .
Emanuele, però, non  è l’unica vittima di questi anni spietati, insieme a lui vi sono Roberto Crescenzio, studente ed operaio, vittima dell’attentato al bar dell’Angelo azzurro, le guardie carcerarie chiamate “i salvatori di Torino “, Carlo Casalegno e molti altri ancora.
Torino, oltre ad essere il palcoscenico di assurde vendette politiche e feroci sparatoie, è anche il luogo dove per anni viene iniziato e rimandato il processo alle brigate rosse.
Le continue sospensioni sono dovute alla paura ed è per questo motivo che alla Procura di Torino arrivano certificati medici che convalidano diagnosi di depressione, eufemismo della paura.
E’ importante dire che tutte le organizzazioni terroristiche non avevano tanto paura di ciò che si faceva contro di loro ma di quello che veniva scritto e detto contro di loro.
Per questo motivo, il 29 novembre 1977, in un palazzo di corso re Umberto  a Torino, viene ucciso a sangue freddo con quattro colpi di pistola Carlo Casalegno, che curava una rubrica sul quotidiano “La stampa” intitolata “il nostro Stato”, in cui esortava ognuno a non indietreggiare di fronte al terrorismo con una forza e una integrità morale che lo rendevano scomodo agli occhi dei brigatisti.
Alcuni anni dopo la morte del padre, il figlio, Andrea casalegno, anch’egli giornalista, riprese una storica frase del padre che diceva “un uomo può essere un ex brigatista, un ex terrorista ma non un ex assassino “.
Sul finire degli anni settanta, Torino è una città sofferente, dove il miracolo giornaliero è arrivare a cena e dove si ha paura di uscire dopo il crepuscolo, ma è anche una città che si vuole rialzare, che vuole sconfiggere il terrorismo e vuol ritornare a vivere.
Così iniziano ad organizzarsi assemblee per parlare, per confrontarsi e, dopo un primo momento di assenteismo, queste assemblee diventano oceaniche, temute dai terroristi che vi presenziano in incognito.
E’ il 1981, la stazione di Bologna salta in aria e inizia la crisi ideologica di tutte le organizzazioni extraparlamentari, il generale Dalla chiesa arresta, appena fuori Torino, Patrizio Peci, capo della colonna torinese delle brigate rosse. Insieme a lui altri pentiti iniziano a confessare .
Il maxi processo alle br viene riaperto e viene spostato nell’aula Bunker delle carceri  “le nuove ” .
E’ nel 1982 che si potrà dire conclusa l’era delle stragi , delle bombe , della paura e delle morti inutili .
Dal 1967 al 1982 le vittime delle stragi del terrorismo nella sola torino sono 16, 16 sono le famiglie colpite, 16 sono le vite interrotte, 16 sono le famiglie abbandonate dalla Stato perchè non avranno mai giustizia, perchè i colpevoli non verranno mai identificati né puniti.
I documentari e gli incontri presso il castello di Rivoli in occasione della mostra “La storia che non ho vissuto ” aiutano a dare un senso a quelle morti, a far si che non rimangano un evento passato e dimenticato.
E’ cosi che uno Stato si fa carico del lutto individuale e dei crimini irrisolti.
Con la memoria collettiva che permette alle nuove generazioni di comprendere i rischi ideologici degli estremismi e della violenza.

Sito : La storia siamo noi

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