di Elisabetta Azzalini 3^D
del Primo Liceo Artistico Statale di Torino
Quest’anno la nostra scuola, in collaborazione con l’Associazione Terra del Fuoco, ci ha dato la possibilità di partire con il Treno della Memoria diretto a Cracovia, in Polonia, per visitare i campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau. Il ruolo di quattro ragazzi e mio era quello di mettere in scena due brevi rappresentazioni teatrali e di esporre alcune letture tratte dal celebre romanzo Se questo è un uomo di Primo Levi davanti a tutti gli studenti che viaggiavano insieme con noi.
Siamo partiti da Torino nella giornata del 3 Febbraio 2012, dopo un’assemblea collettiva che si è tenuta al Teatro Regio, durante la quale sono intervenute molte personalità importanti coinvolte in questo progetto. Dei tanti discorsi ascoltati, il più toccante è stato quello di Ferruccio Maruffi, ex deportato a Mauthausen e attuale Presidente dell’Associazione Nazionale Ex Deportati del Piemonte, che ci ha raccontato un aneddoto assolutamente commovente, che ha risvegliato in me un grandissimo desiderio di vedere con i miei occhi ciò che rimane oggi dello scempio che sono stati i lager.
Nei due giorni seguenti all’arrivo a Cracovia abbiamo messo in scena due piccole storie, per ricordare i milioni di persone, principalmente ebrei, che furono deportati nei campi di concentramento e di sterminio durante il periodo nazista. E’ stato particolarmente toccante e coinvolgente per tutti, perchè proprio a Birkenau abbiamo messo in scena episodi realmente accaduti, sotto lo stesso cielo che li ha visti succedere tanti anni prima nella realtà.
Penso di aver capito solo dopo questo viaggio come avrei dovuto interpretare la donna a cui venivano sottratti valigia, vestiti e scarpe, e a cui veniva inciso sul polso un numero di matricola.
Il valore di questa esperienza sta nel restituire dignità alla storia del popolo che è stato massacrato fisicamente e spiritualmente durante quegli anni, per evitare di ricadere nell’indifferenza e nel disinteresse collettivo, che spesso caratterizza la nostra società odierna.
Per me è stata una presa di coscienza che è avvenuta in un modo particolare: mi sono immedesimata, anche se in un contesto diverso, nelle sensazioni che devono aver provato allora quelle persone. Oltre al freddo e alla desolazione del luogo in cui ci trovavamo, è stato il testo che ho letto in pubblico in Piazza dell’Appello ad Auschwitz a coinvolgermi e ad emozionarmi :
“Come questa nostra fame non è la sensazione di chi ha saltato un pasto, così il nostro modo di avere freddo esigerebbe un nome particolare. Noi diciamo “fame”, diciamo “stanchezza”, “paura” e “dolore”, diciamo “freddo”, e sono altre cose. Sono parole libere, create e usate da uomini liberi che vivevano, godendo e soffrendo, nelle loro case. Se i Lager fossero durati più a lungo, un nuovo aspro linguaggio sarebbe nato; e di questo si sente il bisogno per capire cosa è faticare l’intera giornata nel vento, sotto zero, con solo indosso camicia, mutande, giacca e brache di tela, e in corpo debolezza e fame, e consapevolezza della fine che viene.”
[da Se questo è un uomo, Primo Levi]
Abbiamo conosciuto i loro visi attraverso le foto che erano appese sulle pareti all’interno di un blocco di Auschwitz e li abbiamo ricordati dicendo i loro nomi ad alta voce, uno per volta, durante la commemorazione. Poi alcuni di noi hanno provato ad accendere delle candele, anche se la fiammella era flebile, agitata dal vento gelato che avvolgeva tutto il campo.
Dopo aver visitato personalmente i luoghi in cui si è consumata così tanta sofferenza è inutile tentare di non pensarci, anche se questo provoca in noi sgomento e paura.
Mi sento di dire che quello che noi ragazzi cerchiamo di fare con questo viaggio è riportare un po’ di speranza, dando il nostro piccolo contributo per risanare una terra che è stata troppo a lungo lacerata dal dolore.